venerdì 24 settembre 2010

Posted by Iride On 22:22
More about Il diario di Hélène Berr"..Mi rende felice pensare che se verrò presa, Andrée avrà custodito queste pagine, qualcosa di me, cioè che mi è più prezioso, perche adesso non tengo più a niente di materiale: quello che bisogna salvaguardare è l'anima e la memoria." 
(pag. 173)










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giovedì 23 settembre 2010

Posted by Iride On 18:11
"...mi sembra che ci sia più sincerità nel dolore che nella gioia."

Da: "Il diario di Hélène Berr"

martedì 21 settembre 2010

Posted by Iride On 19:01
Uscita di buon mattino. Un cappuccino dorato e un croissant morbidissimo, poi al lavoro.
Oggi mi sono esercitata nella fotografia in vista di un corso che inizierò a fine mese. Ho rigirato per la città fotocamera alla mano, come ho già fatto tante volte, sotto gli sguardi malevoli della gente che ti squadra anche quando fotografi un edificio(internet ha diffuso il terrore delle immagini rubate).
Tra la folla nessuno di interessante, così piano piano mi dirigo verso il Castello Sforzesco. Fotografato mille volte, ci vado sempre con lo spirito del "non si sa mai" per giustificarmi.  
In verità non riesco a non rimanere attratta dal fascino dell'antico, mi piace visitare luoghi che portano con sé il silenzio assordante della storia che hanno vissuto. Può sembrar triste a momenti vedere luoghi che erano tanto importanti ridotti a scheletri di un'era, senza più uno scopo, un utilizzo degno di loro.
Qualche scatto qua e là, per sicurezza, non si sa mai.



 Qui nessuno fa caso a me tra i numerosi turisti armati dello stesso strumento. Per il giardino qualche coppietta sdraiata sull'erba, le panchine all'ombra tutte occupate da lavoratori in pausa pranzo. E mentre tiro fuori una mela portata per l'occasione, butto un occhio oltre il parapetto verso i piani più bassi, inaccessibili, divorati dalle piante e sorvegliati da tante piccole sfingi.

Trovata una panca libera, mangio col naso all'insù verso le guglie di questo grosso vecchio silente, chiedendomi cosa ci fosse all'epoca nell'esatto punto in cui mi trovo. In mancanza di una risposta, me ne arrivano mille dal silenzio di quei rossi mattoni. Un timore reverenziale.

Rileggendo adesso il post, sà un pò di un melenso, ah ah ah...
In effetti a descrivere queste sensazioni si appare per lo più banali, "romanticosi" e stucchevoli, da spingere la gente a pizzicarti la guancia, che orrore!! Però sono momenti che mi piace vivere e serbare, perché nutrono l'anima.
E visto che siamo in tema di romanticherie, il tramonto sta indorando il mio bucato come foglie d'autunno, che vado a ritirare. Buona sera a tutti :)
E dopo questo, lavatevi bene i denti, la carie è in agguato! XD 

domenica 19 settembre 2010

Posted by Iride On 12:16
Anche in una grande città il fato è infido e goliardico, e incontri persone che speravi di non rivedere più nella vita, o almeno nell'anno. Troppa grazia. 
Persone forse meno che conoscenti, con le quali ho passato tre anni d'inferno in accademia, in un clima di competitività  e ipocrisia asfissianti. E io che credevo che dopo la mediocrità del clima liceale avrei trovato gente adulta e stimolante e superiore...
Non distolgo lo guardo abbastanza in fretta e mi riconosce. Dentro mi maledico.
Sorrido imbarazzata, sorpresa(sgomenta) e sbotto un: "Heyy!"
Saluti di rito, sorrisi paralizzati e i miei piedi che prudono dalla voglia di andarsene. I suoi invece sono ben piantati, sorreggono la voglia di parlare di sé e dei suoi successi. Poi la domanda cinica di chi conosce già la risposta: "E tu invece che stai facendo?"
E mentre ora sono qui che strizzo un cuscino a forma di fragola sacrificato ad anti-stress, mi abbandono a pensieri migliori. Guardo il cielo dopo la pioggia incessante di ieri, adesso terso e accecante, e dirigo il mio spirito lassù, dove le parole e l'ipocrisia non possono toccarmi, in alto, dove le loro ali non possono arrivare.

giovedì 16 settembre 2010

Posted by Iride On 17:43
Impegni accavallati, preoccupazioni, e adesso anche la ricerca di un lavoro. Passare metà della vita a studiare, a ingrassare il curriculum per poi probabilmente finire con un lavoro precario, perché dove vorresti andare devi andarci solo in minigonna, o avere già esperienza. Ma se nessuno ti assume, come te la fai l'esperienza?? Frustrazione.
In questa crisi metà vera metà terrorismo, pensavo ad una strategia simile. Mi servono volontari.

lunedì 13 settembre 2010

Posted by Iride On 19:25
In questi giorni ho letto la notizia del gruppo di soldati americani che rischia la pena di morte per aver sparato a dei civili afgani senza motivo, collezionandone le falangi come trofeo. Per divertimento, quindi. 
L'articolo li chiama il "kill team", un nome che suona pure ganzo, da film tipo Arma Letale, e che contribuisce a dare un alone di incredulità alla notizia. La cosa veramente spaventosa non è semplicemente il fatto in sè - che è  abbastanza scioccante - ma la consapevolezza che è solo il sintomo, di una malattia. Cioè, sappiamo tutti che in guerra queste cose si fanno, basta parlare con chi la guerra l'ha fatta, e ahimè gente ce n'è, perché l'ultima guerra non è così distante da non esserci più nessuno per raccontarla. Ma il vero problema non è questo, perchè come ho già detto queste atrocità in guerra succedono.
Tempo fa ho letto un libercolo, un allegato della rivista Internazionale, contenente la trascrizione di una conferenza tenutasi a Ferrara dal titolo "Il futuro del giornalismo", con Roberto Saviano e William Langewiesche. Il primo lo conosciamo tutti, il secondo è un importante giornalista americano che ho qui avuto modo di conoscere. In questa conferenza molti gli argomenti trattati, ruotando attorno al tema di "ciò che non si dice", su come viene raccontata la realtà. Qui Saviano sottolinea una cosa importante della quale mi ero già accorta: il rapporto odierno, specie italiano, con la guerra. Nella sua attività di documentazione, lo scrittore ha avuto modo di parlare con diversi reduci: alcuni di loro hanno parlato da spacconi, riguardo il fatto che in guerra ormai non ci si possa più "divertire", perché appena svuoti il caricatore i giornalisti vogliono sapere come e perchè. Un ragazzo che era stato in Kosovo invece gli raccontò di come, frustrato di non poter sparare, morse il calcio del fucile tanto da spezzarsi un dente.
Dal lato italiano ho notato che questo problema assume toni più cupi, in quanto sembra che la guerra sia troppo distante per i giovani di oggi. Mentre una volta si disertava rischiando la morte, ci si azzoppava, ci si ammalava pur di non andare a combattere, ecco che adesso si vedono moltissimi giovani italiani ben lustrati nelle loro uniformi, cresciuti a Coca Cola e Kinder Brioss, che non vedono l'ora di partire per la guerra, entità ormai straniera in Italia e che sembra esercitare un fascino magnetico per questi pasciuti figli del Benessere, perchè pare che in Italia non ci sia nessuno nella carriera militare che non desideri prendere parte nelle missioni all'estero. 
La difficoltà dello scrivere di guerra, dice Saviano, sta nel fatto che la guerra non appartiene al lettore italiano, non più almeno, quando invece sarebbe importante parla di questo nuovo "fascino" esercitato dalla guerra. Ecco il problema, quello vero.
Ho fatto questa lunghissima introduzione - della quale mi scuso- solo per arrivare a questa riflessione: è mai possibile che l'uomo non possa prescindere l'aggressività? Davvero il tanto agognato benessere è un cancro peggiore della fame, della morte, dell'orrore? Sempre di più mi convinco che una cosa sia riconoscibile solo in contrapposizione al suo opposto, e apprezzabile solo in un confronto ravvicinato. La pace è bella solo se affiancata all'orrore della guerra. Ho già accennato l'argomento con Paolo in un suo post
Mi rendo conto che l'ozio, il troppo benessere, il non dover lottare quasi per nulla nei primi anni della vita, atrofizzi il nostro spirito che per natura necessita di stimoli e prove. Ma al di là della mollezza, della carenza di spirito che queste mancanze provocano, io mi chiedo com'è possibile arrivare a desiderare la morte, la propria e quella degli altri? Quale malessere sociale ci ha portato a questo? E' davvero il benessere l'unica causa di tutto? Nella guerra si sta male ma si apprezza la vita, nella pace si sta bene ma la vita la si getta. Via mediana, mia chimera, dove sei?

domenica 12 settembre 2010

Posted by Iride On 18:33

Lo so benissimo che nella vita la costanza è tutto, che bisogna tenere duro, mai mollare....e non mollerò! A partire da domani. 
Stasera vaffanciullo alla dieta, e mi sbafo una pizza!! XD

Posted by Iride On 11:38
Buongiorno,
quali avventure vi attendono in questa domenica fresca e soleggiata? L'aria è frizzante e non riesco a smettere di fissare il tappeto color senape che sventola sul balcone di fronte. Una bella domenica, sebbene non sia il giorno della settimana che preferisco.
Io ahimè non potrò goderne, anche oggi è giornata di studio. Me tocca. 
Stamattina mentre spolveravo il tristissimo bouchet di fiori finti vicino alla finestra(l'appartamento ne è pieno, per orrido gusto della mia padrona di casa) pensavo alla casa dei miei, in campagna, dove i fiori sono tutti veri e profumati, immersa nel verde, verde che a Milano è tenuto in ben poca considerazione.
Sono le 11.30 e fuori c'è quella lieve calma che precede l'ora di pranzo, dove le mamme spignattano e chiacchierano con  figlie e nipoti che apparecchiano la tavola. Un pò mi manca questo momento ora che vivo fuori casa e mangio alle ore più disparate. Mi arriva un invitante odore di pesce fritto, e un lontano scampanellìo di piatti.
Buon pranzo domenicale a tutti ;)

venerdì 10 settembre 2010

Posted by Iride On 21:26
La mia prima riflessione di fronte a un cappuccino è stata sulle persone che mi sfrecciavano attorno, seduta a un tavolino esterno del bar. Oggi si corre, si deve correre. Perché? Non lo sa nessuno. Sta di fatto che chi ti passa davanti e ti vede seduto a pensare con una tazza in mano guarda in modo strano. Invidia o biasimo? Sembra che sempre più spesso prendersi del tempo per se stessi non sia solo un lusso, ma un lusso per viziati. Eppure sono tante le cose che si vedono uscendo dalla fiumana. Certo è vero ci sono molti impegni cui tener fede, il lavoro, la famiglia, ma una volta la qualità della vita era migliore, no? Così mi hanno detto, e credo di ricordare. Ho 24 anni e penso di appartenere alla prima generazione travolta da questo nuovo stile di vita senza fiato, nel quale siamo stati buttati senza salvagente, come barbaricamente si usava per insegnare ai bambini a nuotare, buttandoli di peso nell'acqua, talvolta tenendoli sotto.

PLAY

Corre, scorre. La vita è come un fiume che scorre.
Scappa. Da cosa scappa? Dai suoi creditori?
Certo. Non fa che indebitarsi questa fedifraga.
Corre senza fiato e mi trascina su una giostra
che gira veloce,
non vedrò niente finché il giro non sarà finito.
Giro su un cavallino mal laccato che non posso impennare.
Fermarsi, osservare, riflettere,
significa farsi travolgere dal fiume,
essere sbalzati di sella.
Fossi il coniglio della Duracell,
mi toglierei le pile.
Fermarmi, osservare, e poi
rimettermi le alcaline della migliore qualità.
Fermare il carrozzone e fare sosta all'Autogrill del mio Io.
Mettere in pausa il mio film per rispondere al telefono dei miei pensieri.
Ma il carrozzone va avanti da sè, non fa soste, solo capolinea.
Il film scorre e sul telecomando solo un grosso PLAY.
Nel mio film non c'è nessuna Matrix da cui uscire, nessuna pillola rossa.
Fermarsi significa annegare, rimanere a piedi,
voltarsi e vedere i propri titoli di coda.
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